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Decreto salva casa, il testo
L’obiettivo del testo del Decreto salva casa è favorire il recupero edilizio di appartamenti la cui compravendita è bloccata da alcune normative che non ne consentono la vendita, per facilitare il mercato immobiliare e venire incontro al fabbisogno abitativo sempre più crescente.
Il decreto interviene solo nelle casistiche di minore gravità, incidendo sulle cosiddette lievi difformità. Non si tratta quindi di un condono edilizio. In particolare interviene sulle difformità
- su quelle formali derivanti da incertezze interpretative della disciplina vigente rispetto alla dimostrazione dello stato legittimo dell’immobile;
- sulle difformità edilizie delle unità immobiliari, risultanti da interventi spesso stratificati nel tempo, realizzati dai proprietari dell’epoca in assenza di formale autorizzazione;
- sulle parziali difformità che potevano essere sanate all’epoca di realizzazione dell’intervento, ma non sanabili oggi, a causa della disciplina della cd. “doppia conformità”.
Decreto salva casa, cambio destinazione d'uso
Ma cosa prevede il testo del decreto Salva Casa? Tra le disposizioni principali, si semplifica il cambio di destinazione d'uso delle singole unità immobiliari, nel rispetto delle normative di settore e delle condizioni comunali.
In particolare, per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, il mancato rispetto dei parametri di altezza, distacchi, cubatura, superficie coperta e simili non costituisce violazione edilizia se resta entro i limiti:
- del 2 per cento delle misure previste dal titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile superiore ai 500 metri quadrati;
- del 3 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 300 e i 500 metri quadrati;
- del 4 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile compresa tra i 100 e i 300 metri quadrati;
- del 5 per cento delle misure previste nel titolo abilitativo per le unità immobiliari con superficie utile inferiore ai 100 metri quadrati.
Per gli interventi realizzati entro il 24 maggio 2024, costituiscono anche tolleranze esecutive , il minore dimensionamento, la mancata realizzazione di elementi non strutturali, le irregolarità esecutive di muri esterni ed interni e l’ ubicazione non conforme delle aperture interne e di altri elementi simili.
Le verande in edilizia libera
Secondo il decreto salva casa sono da considerare in edilizia libera:
- le vetrate panoramiche amovibili (VePA) anche per i porticati rientranti all'interno dell'edificio
- le opere di protezione dal sole e dagli agenti atmosferici la cui struttura principale sia composta da tende anche a pergola, addossate o annasse agli immobili, purché non determino spazi stabilmente chiusi e non abbiano un impatto visivo e ingombro apparentemente disarmonici
Decreto salva casa e silenzio assenso
Il decreto inoltre semplifica le procedure vigenti: è introdotto il regime di silenzio-assenso, principio particolarmente rilevante e che va nella direzione della massima semplificazione. Significa che se l’Amministrazione non risponde nei tempi previsti l’istanza del cittadino è accettata. Infine si introduce la possibilità di installare tende e strutture di protezione dal sole e da eventi atmosferici, in regime di edilizia libera.
La norma mira anche a decongestionare gli uffici tecnici comunali sepolti da migliaia di pratiche. Il provvedimento prevede sanzioni che sono proporzionali all’aumento di valore dell’immobile e potranno essere utilizzate, tra l’altro, nella misura di 1/3, per progetti di recupero e rigenerazione urbana.
Norma salva Milano assente
Nel testo, come già annunciato lo scorso 17 maggio, non c’è la cosiddetta norma Salva-Milano per alcune ristrutturazioni edilizie del capoluogo lombardo su cui si è acceso l’interesse della Procura. L’idea di Salvini, già condivisa con il sindaco Giuseppe Sala, è di intervenire in fase di conversione del testo.
BREVI ANALISI SUI RIFLESSI FISCALI DELLA PRELAZIONI AGRARIA
La prelazione agraria tra risvolti civilistici e fiscali
L’argomento che vado a trattare in questa sede è di particolare rilevanza pratica ed interesserà operatori immobiliari (notai fiscalisti agenti immobiliari avvocati ed ovviamente parti in causa) che si troveranno a trattare e poi eventualmente negoziare un fondo agricolo in presenza (o presunta presenza) di aventi diritto alla prelazione agraria. Detto istituto entrato in vigore da una norma ormai ultracinquantennale prevede una legge speciale ed inderogabile che ha ripercussioni sia di carattere giuridico/civilistico che di natura fiscale. L’abbinamento di detti campi spinge alla ricerca di soluzioni non sempre ben amalgamabili. Il tema è stato trattato a livello dottrinale in un recente convegno avvenuto il 25 ed il 26 Maggio di questo anno in Milano.
Il nostro ordinamento prevede una differenza significativa tra le aliquote ordinarie dell’imposta di registro per l’acquisto di terreni agricoli, e il trattamento fiscale agevolato applicato in presenza dei requisiti della cosiddetta “piccola proprieta contadina” (Ppc), al punto da incidere sulla stessa convenienza dell’operazione.
Ricordiamo infatti che a fronte di una tassazione con imposta di registro pari al 15% del prezzo di acquisto (con un minimo di 1.000 euro, oltre alle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna), prevista in via generale per l’acquisto di terreni agricoli, i coltivatori diretti e gli imprenditori agricoli professionali iscritti nella relativa gestione previdenziale (nonche le società agricole) possono chiedere l’applicazione delle agevolazioni per la “piccola proprieta contadina” (Ppc) che riducono l’aliquota proporzionale all’1% del prezzo di acquisto del fondo agricolo (a titolo di imposta catastale, a cui si aggiungono le imposte di registro e ipotecaria nella misura fissa di 200 euro ciascuna), a condizione che mantengano la proprieta e continuino la coltivazione del fondo per almeno cinque anni dopo l’acquisto, e conservino la qualifica di coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale per lo stesso periodo. E’ solo il caso di accennare, peraltro, che la definizione di coltivatore diretto ai fini fiscali non coincide esattamente con la qualifica richiesta per l’attribuzione del diritto di prelazione agraria; quest’ultima infatti non richiede l’iscrizione previdenziale, che è invece essenziale per la normativa fiscale.
Meno nota, perchè oscurata dalla maggiore convenienza dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina, e la possibilità riconosciuta ai coltivatori diretti e agli imprenditori agricoli professionali, iscritti nella gestione previdenziale e assistenziale, di applicare all’acquisto di fondi agricoli l’imposta di registro con l’aliquota (ordinaria) del 9%, in luogo di quella “maggiorata” del 15%.
Questa opportunità viene utilizzata molto raramente, perchè il coltivatore diretto o l’imprenditore
agricolo professionale, iscritto nella gestione previdenziale e assistenziale, ha normalmente convenienza a chiedere l’applicazione dell’agevolazione per la piccola proprietà contadina.
L’aliquota del 9% potrebbe pero essere utilizzata quando manca la possibilità di adempiere agli
altri obblighi imposti dall’agevolazione per la piccola proprietà contadina, come per esempio quello di mantenerla e continuare la coltivazione del fondo agricolo acquistato per almeno cinque anni, oppure quello di mantenere la qualifica per lo stesso periodo di tempo. (caso di terreno affittato a terzo che lo rilascerà solo dopo l’annata agraria )
La registrazione del contratto preliminare e un obbligo previsto dalla legge, tuttavia non c’è dubbio, in termini generali, che la mancata registrazione non incida sulla validità sostanziale dell’atto. La mancata registrazione del contratto preliminare, pur esponendo le parti a sanzioni sul piano fiscale, non ha pertanto alcuna conseguenza sulla validità della denuntiatio, al fine dell’applicazione delle norme sulla prelazione agraria. (Cass. 19 novembre 1984, n. 5896).
Il contratto preliminare (se non sottoposto a condizione, oppure sottoposto a condizione risolutiva dell’esercizio della prelazione, come spesso avviene) ha scontato l’ordinaria tassazione: imposta di registro fissa, oltre all’eventuale imposta proporzionale dello 0,50% sull’importo della caparra e del 3% sull’importo dell’acconto.
A seguito all’esercizio del diritto prelazione da parte dell’avente diritto, il contratto preliminare perde efficacia tra le parti, tuttavia non è prevista la possibilità di chiedere la restituzione dell’imposta proporzionale già pagata (e neppure, ovviamente, dell’imposta fissa).
Se invece il contratto preliminare di compravendita fosse soggetto a condizione sospensiva del
mancato esercizio della prelazione, sconterebbe subito l’imposta di registro in misura fissa, e, in seguito all’esercizio del diritto di prelazione non sarebbe più dovuta l’imposta proporzionale, rimanendo il contratto preliminare privo di efficacia. Più complessa e la situazione in caso di esercizio del diritto di riscatto. Al fine dell’applicazione delle imposte di registro, ipotecarie e catastali, la prassi dell’amministrazione finanziaria accoglie l’interpretazione, prevalente in giurisprudenza e nella dottrina, secondo cui l’esercizio del diritto di riscatto comporta la sostituzione del riscattante nella posizione dell’originario acquirente, con effetto retroattivo della sentenza che accerta l’esercizio del diritto di riscatto e determina il trasferimento della proprietà del fondo agricolo a favore del riscattante, e pertanto affermano che essa deve essere assoggettata alla tassazione prevista per le sentenze recanti trasferimento di diritti reali su beni immobili (secondo le previsioni di cui all’articolo 8, comma 1, lettera a), della Tariffa, parte prima, allegata al d.p.r. 26 aprile 1986, n. 131), ovvero con le stesse aliquote previste per gli atti di trasferimento di diritti reali su beni immobili. Anche la Corte di Cassazione, pronunciandosi sui profili fiscali del riscatto (pur se relativamente alla prelazione urbana), ha affermato che “… a parte ogni considerazione ‘civilistica’ sulla natura giuridica dichiarativa o costitutiva, della sentenza che pronuncia sulla domanda avente ad oggetto il diritto di riscatto … certamente irrilevante ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro … e pacifico che la sentenza … dispone il trasferimento della proprietà dell’immobile riscattato a favore della società ricorrente … e tanto basta per integrare la fattispecie prefigurata dal combinato disposto degli artt. 1 del d.P.R. n. 131 del 1986, 8, lettera a) e 1, comma 1, della Tariffa, allegata al decreto”, che prevedono l’applicazione dell’imposta proporzionale alle sentenze recanti trasferimento di diritti reali su beni immobili (Cass. 15 ottobre 2001, n. 12551).
L’Agenzia delle entrate ha confermato questa interpretazione con la Risoluzione del 12 giugno
2012, n. 64/E, che ha ripreso quanto era gia stato affermato dall’Amministrazione finanziaria con la Risoluzione del 24 aprile 1987, n. 250247: “il primo atto con quelle determinate parti piu non sussiste nel mondo giuridico, onde solo il secondo atto costituisce il vero trasferimento e l’imposta non può che far carico esclusivamente ad esso ed ai veri effettivi contraenti, sin ‘ab origine’, per l’effetto retroattivo del riscatto”.
In sede di registrazione della sentenza, il riscattante potrà ovviamente chiedere l’applicazione
delle agevolazioni fiscali per l’acquisto dei fondi agricoli, in presenza dei requisiti previsti dalla
legge. A questo proposito, ricordiamo che non sempre ricorrono, in caso di riscatto, i presupposti per la richiesta delle agevolazioni fiscali per la piccola proprietà contadina da parte del riscattante, pur essendo egli necessariamente un coltivatore diretto (o in certi casi un imprenditore agricolo professionale, a seguito della recente modifica legislativa). Ciò avviene, per esempio, nel caso in cui sia riconosciuto il diritto di riscatto al confinante (coltivatore diretto o imprenditore agricolo professionale) in presenza di un affittuario che non ha la qualifica di coltivatore diretto, e la cui presenza pertanto non esclude il diritto di prelazione agraria del confinante avente i requisiti di legge. In tale ipotesi, infatti, il riscattante acquisterà la proprietà del fondo agricolo, ma non potrà esercitarne la conduzione fino alla scadenza del contratto di affitto, e ciò non gli consentirà di godere delle agevolazioni fiscali sull’acquisto. Si applicherà dunque, di regola, l’imposta di registro con l’aliquota del 9%. Nel caso in cui, invece, il diritto di riscatto fosse esercitato da un coltivatore diretto non iscritto nella gestione previdenziale e assistenziale, si applicherà l’imposta di registro con l’aliquota del 15%.
L’acquirente che ha subito il riscatto ha pertanto diritto al rimborso dell’imposta da lui corrisposta
per la registrazione dell’atto, per la parte eccedente la misura fissa. Si evita cosi una duplicazione di imposta sul trasferimento del medesimo fondo.
Ciò è stato riconosciuto, oltre che dalla giurisprudenza tributaria (Commissione Tributaria Centrale, 20 gennaio 2001, n. 365; Commissione Tributaria Centrale, 11 ottobre 1994, n. 3312;
Commissione Tributaria Centrale, 10 aprile 1989, n. 2578), anche dall’Agenzia delle entrate (Risoluzione del 12 giugno 2012, n. 64/E).
Nel caso del riscatto, il diritto alla restituzione delle imposte sorge per effetto della sentenza, pertanto l’originario acquirente potrà presentare istanza di rimborso nel termine di tre anni dalla
data della sentenza di pronuncia sul diritto di riscatto. In conseguenza di quanto detto sembrerebbe immotivata la richiesta di indennizzo al dante causa anche delle imposte pagate data la possibilità di recuperarle nel modo sopra esposto.
Esemplifichiamo quanto esposto con un esempio pratico di una compravendita di un terreno agricolo per il prezzo di 200.000 duecentomila €.
Caso di acquisto da soggetto non coltivatore diretto 15% oltre le fisse di 50 € cadauna per cui 30.100 trentamilacento €
Caso di acquisto da coltivatore diretto (regolarmente iscritto previdenzialmente) che non ha la possibilità di tenere ed utilizzare il terreno per 5 anni: 18.000 diciottomila oltre le 2 fisse
Acquisto con le agevolazione della ppc 2.400 € 2mila oltre le 2 fisse da 200 € ciascuna
Insomma di motivi per approfondire la materia ce ne sono…
Dr Giancarlo Riccucci
LA COMMERCIALIZZAZIONE DI IMMOBILI CON PROVENIENZA DA DONAZIONE
Introduzione
Il tema che vado ad esplicare è di estrema attualità per gli operatori immobiliari. E’ infatti noto anche ai non addetti a questi ambiti che le provenienze per donazioni, in sede di successione del donante, possono subire azioni di riduzione da parte degli eredi legittimari e che il loro potere può coinvolgere anche il terzo acquirente ove risulti infruttuosa l’azione verso il donatario (colui che ha ricevuto la donazione e che poi ha successivamente alienato il bene) sono infatti inefficaci nei confronti dei citati legittimari i pesi, le garanzie e le alienazioni effettuate su questi beni Art. 563. (Azione contro gli aventi causa dai donatari soggetti a riduzione). Se i donatari contro i quali e' stata pronunziata la riduzione hanno alienato a terzi gli immobili donati e non sono trascorsi venti anni dalla ((trascrizione della)) donazione, il legittimario, premessa l'escussione dei beni del donatario, puo' chiedere ai successivi acquirenti, nel modo e nell'ordine in cui si potrebbe chiederla ai donatari medesimi, la restituzione degli immobili.
La ragione è il rispetto della quota di legittima (parte di eredità che necessariamente i legittimari devono poter ricevere) questa che nel nostro ordinamento vige per coniuge, discendenti ed in alcuni casi ascendenti diretti. Meno noto è che nel 2005 il legislatore ha novellato la normativa inserendo dei limiti alla possibilità di incidere sui terzi (da parte dei legittimari lesi o pretermessi) Sono infatti escluse le donazioni da cui siano passati 20 anni rispetto alla trascrizione delle stesse a meno che nei venti anni gli aventi diritto non abbiano trascritto una opposizione rispetto alle stesse come previsto dall’articolo 563 comma 4 del c.c. ( Salvo il disposto del numero 8) dell'articolo 2652, il decorso del termine di cui al primo comma e di quello di cui all'articolo 561, primo comma, e' sospeso nei confronti del coniuge e dei parenti in linea retta del donante che abbiano notificato e trascritto, nei confronti del donatario ((e dei suoi aventi causa, un atto stragiudiziale di opposizione alla donazione. Il diritto dell'opponente e' personale e rinunziabile. L'opposizione perde effetto se non e' rinnovata prima che siano trascorsi venti anni dalla sua trascrizione.)
Quindi cosa succede nella pratica? Quando un immobile ha provenienza di donazione infraventennale oppure non sono passati 10 anni dalla morte del donante il bene pur legittimamente vendibile è comunque meno commerciabile per le ragioni sopra esposte (ne è testimonianza una recente sentenza della cassazione-12 Dicembre 2019 n.32.694 – ove il promittente venditore è stato ritenuto responsabile di non aver reso edotto il promissario acquirente della provenienza da donazione del bene, stesso acquirente ha potuto rifiutare la stipula del definitivo avvalendosi dell’art.1460 c.c. ). I rimedi tipici sono quelli della fideiussione o assicurazione tesi a ovviare a detti rischi, queste soluzioni hanno posto alternativa alla più radicale risoluzione della donazione che è praticabile solo se il donante è ancora in vita ma comunque a costi più elevati.
La circostanza di riflessione su quanto detto ci è stata data da una sentenza della corte di cassazione che analizzava la controversa posizione di parte attrice che prova a fare opposizione a più atti di compravendita datati 72 e 73 (secolo scorso) che dissimulavano donazioni avente per oggetto più immobili di pregio fittiziamente trasferiti a titolo oneroso dal padre alla madre. ( Cass. civ., sez. II, 11 febbraio 2022, n. 4523)
Decorrenza della novella 80/2005
Per cercare di porre un parziale rimedio a quanto sopra esposto nel 2005 si è dato luogo ad una riforma del sistema
- pubblicata la norma de qua un primo orientamento minoritario, ma autorevole, sosteneva che la novella fosse applicabile anche alle donazioni stipulate in data anteriore ma che il conteggio del ventennio sarebbe stato fatto non dalla data di trascrizione della donazione bensì dall’entrata in vigore della norma ( in sintesi se nel 2008 mi fossi trovato come provenienza una donazione del 1986 e malgrado l’inesistenza di opposizioni di cui al comma 4 del 563 c.c. l’atto era ancora potenzialmente nocivo per il terzo acquirente perché secondo tale teoria i 20 anni scadono comunque nel 2025 cioè 20 anni dopo l’emanazione della legge oppure attendere i 10 anni dalla morte del donante come già anteriormente previsto). Sia la giurisprudenza ( anche nella sentenza in analisi la quale Corte addiviene comunque al rigetto del ricorso osservando che, a prescindere da tutto, la domanda del ricorrente non poteva essere accolta in quanto l’atto di opposizione alla donazione previsto dall’ultimo comma dell’art. 563 c.c. è utilizzabile, nel caso di donazioni compiute prima dalla data di entrata in vigore della novella del 2005, solo nel caso, a detta data, le donazioni siano state trascritte da non oltre un ventennio. Atteso che nel caso di specie i negozi posti in essere dai genitori del ricorrente risalivano al 1972 e al 1973 e che il ricorrente aveva agito in giudizio soltanto nel 2012 (senza aver mai potuto provvedere all’opposizione prima che trascorressero venti anni dagli atti stessi) che la dottrina maggioritaria hanno ( fortunatamente) avallato l’interpretazione teleologica della norma per cui l’applicazione della stessa a tutte le donazioni ( anche anteriori) che fossero state trascritte da oltre 20 anni ( nell’esempio di prima per cui il terzo acquirente è scevro da rischi in quanto i 20 anni sono finiti nel 2006). La tesi del così detto “riallineamento” non ha fatto breccia ed inutili sono state le considerazioni di presunta incostituzionalità della norma per disparità di trattamento ben potendo il legislatore definire per eventi successivi situazioni nate nel passato ma non ancora definite (in pratica tutte le donazioni realizzate prima dell’entrata in vigore della riforma alla cui data non fosse iniziata la successione).
La applicazione del nuovo istituto è estesa anche alle donazioni dissimulate ( caso sovente nella compravendita immobiliare) ma sotto quali presupposti?
In una sentenza del 2013 la corte di cassazione ha sancito l’esperibilità dell’azione di simulazione anche prima della morte dell’apertura della successione rimettendo comunque l’azione di riduzione ed eventualmente quella di restituzione successivamente alla morte del donante (cosa pacifica). Altro punto trattato dalla sentenza in commento e che inerisce alla riforma è la trascrivibilità dell’opposizione vs atti che dissimulano una donazione. La fattibilità di questa azione risulterebbe subordinata all’avvenuto passaggio in giudicato dell’azione di simulazione; la tesi però non convince perché, dati i tempi della giustizia, si rischierebbe il passaggio dei 20 anni e quindi l’impossibilità di avvalersi dell’azione cautelare in parola. Una tesi intermedia è quella di poter richiedere l’atto di opposizione alla presunta donazione dissimulata nel momento in cui ho almeno presentato questa azione; si ricorda infatti che l’atto di opposizione ha solo natura cautelare ed ogni azione concreta potrà essere eseguita a successione aperta.
Donazioni indirette
Ulteriore spunto tratto dall’argomento è quello sulle donazioni indirette. La giurisprudenza fa distinzione dal caso di denaro dato ed il donatario ne fa quello che vuole dal caso in cui il denaro è destinato propriamente per comprare l’immobile. La vicenda ha conseguenze perché anche le donazioni indirette sono soggette ad azione di riduzione. E’ inoltre diverso il trattamento ai fini della collazione ( “I figli e i loro discendenti ed il coniuge che concorrono alla successione devono conferire ai coeredi tutto ciò che hanno ricevuto dal defunto per donazione direttamente o indirettamente, salvo che il defunto non li abbia da ciò dispensati. La dispensa da collazione non produce effetto se non nei limiti della quota disponibile.”)
In questi casi non c’è simulazione ma liberalità indiretta ed ai fini della collazione se è evidente che il denaro è finalizzato all’acquisto del bene sarà il valore dello stesso (e non quello del denaro al valore nominale) che gli eredi dovranno conferire ( con tutte le differenze pratiche legate alla svalutazione monetaria ed alle variazione di valore del bene immobile).
Nella sentenza del 2013 si era riconosciuta l’esperibilità dell’opposizione versus le donazioni dissimulate ma non contro le donazioni indirette. Inoltre i terzi acquirenti di immobili acquisiti dal loro alienante per donazione indiretta non sarebbero sottoposti ai rischi di azioni di riduzione in quanto non è data loro la possibilità di verificare l’effettiva natura della provenienza ( se io eseguo una visura alla conservatoria dei registri immobiliari di un atto acquistato con il denaro donato vedrò comunque come provenienza un atto di acquisto). Mi auguro vivamente che questa tesi mantenga presa sui giuristi in quanto una diversa interpretazione metterebbe potenzialmente a rischio moltissimi atti ove è palese ( anche grazia al metodo della tracciabilità dei pagamenti prevista dal 2006) che il denaro proviene da soggetti terzi ( il classico caso dei genitori che mettono a disposizione le provviste a favore del figlio per comprare la casa). D’altra parte onde evitare un passaggio notarile con cui si versano soldi ai figli ( nel nostro ordinamento le uniche donazioni che prescindono dall’atto notarile sono quelle di ‘modico valore’, che chiaramente deve essere rapportato al patrimonio del donante) altrimenti esiste un altro metodo che consiste non nel donare preventivamente il denaro al figlio, ma di pagare il prezzo al momento dell’acquisto. In questo caso, il figlio paga il prezzo esempio di 200.000 euro, ma in atto si scrive che la provvista deriva da un conto intestato al papà o alla mamma o a entrambi. Sostanzialmente, dal conto intestato al genitore o ai genitori esce direttamente un bonifico che deve essere indirizzato al venditore dell’immobile oppure un circolare già intestato al venditore, quindi senza intermediare attraverso il figlio.
Note conclusive
Alla luce di quanto sopra si può convenire che: le donazioni che abbiano per oggetto immobili e che siano trascritte da almeno un ventennio sono esenti, per i terzi acquirenti, da rischi di azioni di riduzione.
Sono eseguibili le opposizioni di cui al comma 4 dell’articolo 563 c.c. anche verso le donazioni dissimulate a condizione che almeno l’azione di simulazione sia iniziata (sembra non necessario il passaggio in giudicato definitivo)
L’azione di opposizione ha natura puramente cautelare e tutte quelle esecutive sono eventualmente rinviate all’apertura della successione
Sono attualmente fuori pericolo le donazioni indirette
La provenienza di donazione trova comunque ancora notevoli riserve per la commercializzazione del bene (leggesi la sentenza del 2019 sul preliminare)
Mi chiedo se non fosse il momento di allentare questo cordone ombelicale con la legittima ed ispirarsi maggiormente al sistema di Common law, fra i cui principali esponenti annoveriamo Gran Bretagna e Stati Uniti d'America, è facile notare come, in linea generale, quest'ordinamento non preveda alcun vincolo di destinazione delle quote di legittima. Naturale conseguenza è la piena libertà decisionale del testatore nella scelta del soggetto a cui attribuire i propri assets o le proprie ricchezze. La solidarietà familiare non si costituisce per legge ma per rapporti interni. Non penso che un genitore dissiperà il proprio patrimonio in danno ai propri figli/congiunti se il rapporto con gli stessi è quello familiare in senso proprio.
ACQUISTO PRIMA CASA
Uno dei principali requisiti per ottenere l’agevolazione “prima casa” è quello di non avere nel proprio patrimonio la titolarità dei diritti la cui presenza è stabilita dalla legge appunto come impeditiva dell’agevolazione.
Il prepossesso nello stesso Comune. E’ innanzitutto disposto che può chiedere l’agevolazione “prima casa” chi non sia titolare “esclusivo” (o in comunione con il coniuge) dei diritti di proprietà, usufrutto, uso e abitazione di altra casa di abitazione nel territorio del Comune in cui e' situato l'immobile da acquistare. In altri termini, la titolarità di quote (di proprietà, di usufrutto, eccetera) non impedisce un nuovo acquisto agevolato (salvo che non si tratti di contitolarità con il proprio coniuge).
Ne consegue che è agevolato il nuovo acquisto compiuto di chi già abbia nel medesimo Comune una quota di comproprietà (di qualsiasi entità: dall’1 al 99 per cento) di altra abitazione, a meno che l’altra quota sia del coniuge e a meno che questa quota preposseduta sia stata acquistata con le agevolazioni.
Pertanto, se Tizio e Caia (fratello e sorella) sono comproprietari di una abitazione per il 50 per cento ciascuno (ad esempio: per successione ereditaria), ognuno di essi può effettuare un nuovo acquisto agevolato; se invece di due fratelli avessimo, nella stessa situazione di prima, Sempronio e Mevia (due coniugi), allora nessuno di essi (né insieme né separatamente) potrebbe effettuare un nuovo acquisto nel medesimo Comune con lo sconto “prima casa”.
L’acquisto agevolato potrebbe quindi avvenire o in altro Comune oppure, anche nello stesso Comune, se, sommando le quote di Sempronio e Mevia, non si arrivasse alla titolarità esclusiva (ma, ad esempio, al 95 per cento) oppure vi fosse un altro soggetto titolare di un diritto di usufrutto (per intero o pure in quota, di qualsiasi entità, anche minima).
Il prepossesso di una quota acquistata con agevolazioni. L’altro requisito patrimoniale richiesto dalla legge sulla “prima casa” per ottenere lo sconto fiscale è che l'acquirente non sia titolare, neppure per quote (anche in regime di comunione legale) su tutto il territorio nazionale dei diritti di proprietà, usufrutto, uso, abitazione e nuda proprietà su altra casa di abitazione acquistata dallo stesso soggetto o dal coniuge avvalendosi delle agevolazioni “prima casa”.
Quindi, se la titolarità di una quota di comproprietà di regola non impedisce un nuovo acquisto agevolato, vi è invece un impedimento all’ottenimento delle agevolazioni in parola qualora l’acquisto della quota sia avvenuto sfruttando i benefici “prima casa”.
E così se i fratelli Tizio e Caia sono titolari al 50 per cento di una abitazione in un dato Comune e se Tizio intende comperare una nuova abitazione tutta per sé, quel 50 per cento preposseduto gli impedisce di ottenere l’agevolazione in sede di nuovo acquisto se il precedente acquisto abbia goduto dell’agevolazione; il pagamento dell’imposta “piena” può essere quindi evitato solo se egli alieni quel 50 per cento anteriormente al nuovo rogito.
L’acquisto della quota. Il discorso fin qui compiuto subisce tuttavia una eccezione qualora si abbia il caso dell’acquisto, da parte di un contitolare, della residua con titolarità (in tutto o in parte): ad esempio, quando Caio (comproprietario al 30 per cento) compra in tutto o in parte la quota di Mevio, titolare dell’altro 70 per cento (lo stesso ragionamento può essere poi applicato al caso dell’usufruttuario che compra in tutto o in parte la nuda proprietà o al caso del nudo proprietario che compra in tutto o in parte l’usufrutto, eccetera).
Ebbene, tutti gli atti che si compiono per incrementare il proprio diritto su un dato bene possono fruire del beneficio “prima casa” anche se il diritto (che ora viene incrementato) è stato acquistato con agevolazioni: e così se Mevio e Caia, coniugi in comunione, hanno acquistato una casa con le agevolazioni in parola e poi Mevio rileva la quota di Caia, l’applicazione del beneficio fiscale a quest’ultimo acquisto non è impedita dal fatto che l’agevolazione sia stata goduta nel precedente acquisto.
Velocizzate le operazioni di vendita immobiliari per i soggetti sottoposti a tutela
Questo è il testo di legge che entrerà in vigore martedì 28 febbraio 2023 inerente la nuova possibilità di stipulare atti di compravendita immobiliare che abbiano come centri di imputazione di interessi soggetti meritevoli di tutela (minori interdetti beneficiari di amministratore di sostegno), la novella non annulla la precedente norma che imponeva l'autorizzazione tramite il giudice tutelare il quale rimane sempre competente, rappresenta un'alternativa finalizzata a rendere più veloce la pratica. Non si cada in inganno nel pensare che andando dal notaio sarà tutto risolto in 20 giorni in quanto questo è solo il termine da cui si potrà stipulare che però decorre dalle comunicazioni che il notaio dovrà eseguire in base a quanto previsto al comma 4 dell'articolo 21. Quindi le parti andranno dal notaio a rappresentare il loro intento, il notaio avvalendosi anche di consulenti eseguirà i controlli di rito e invierà il tutto alla cancelleria competente, passeranno 20 giorni e se non vi saranno dinieghi si potrà rogitare.
Art. 21 Attribuzione ai notai della competenza in materia di autorizzazioni relative agli affari di volontaria giurisdizione
1. Le autorizzazioni per la stipula degli atti pubblici e scritture private autenticate nei quali interviene un minore, un interdetto, un inabilitato o un soggetto beneficiario della misura dell'amministrazione di sostegno, ovvero aventi ad oggetto beni ereditari, possono essere rilasciate, previa richiesta scritta delle parti, personalmente o per il tramite di procuratore legale, dal notaio rogante.
2. Il notaio puo' farsi assistere da consulenti, ed assumere informazioni, senza formalita', presso il coniuge, i parenti entro il terzo grado e agli affini entro il secondo del minore o del soggetto sottoposto a misura di protezione, o nel caso di beni ereditari, presso gli altri chiamati e i creditori risultanti dall'inventario, se redatto. Nell'ipotesi di cui all'articolo 747, quarto comma, del codice di procedura civile deve essere sentito il legatario.
3. Ove per effetto della stipula dell'atto debba essere riscosso un corrispettivo nell'interesse del minore o di un soggetto sottoposto a misura di protezione, il notaio, nell'atto di autorizzazione, determina le cautele necessarie per il reimpiego del medesimo.
4. L'autorizzazione e' comunicata, a cura del notaio, anche ai fini dell'assolvimento delle formalita' pubblicitarie, alla cancelleria del tribunale che sarebbe stato competente al rilascio della corrispondente autorizzazione giudiziale e al pubblico ministero presso il medesimo tribunale.
5. L'autorizzazione puo' essere impugnata innanzi all'autorita' giudiziaria secondo le norme del codice di procedura civile applicabili al corrispondente provvedimento giudiziale.
6. Le autorizzazioni acquistano efficacia decorsi venti giorni dalle notificazioni e comunicazioni previste dai commi precedenti senza che sia stato proposto reclamo. Esse possono essere in ogni tempo modificate o revocate dal giudice tutelare, ma restano salvi i diritti acquistati in buona fede dai terzi in forza di convenzioni anteriori alla modificazione o alla revoca.
7. Restano riservate in via esclusiva all'autorita' giudiziaria le autorizzazioni per promuovere, rinunciare, transigere o compromettere in arbitri giudizi, nonche' per la continuazione dell'impresa commerciale.